Tenere il passo


Primo post del 2021, e io non ho alcuna strabiliante novità da raccontare, accidenti!

Invece mi sono sentita aggredire dallo zelo con cui all'apparenza è ricominciato tutto: programmi, iniziative, proposte commerciali e culturali (che, ahimé, in questo periodo mi pare coincidano). La Grande Macchina è ripartita, insomma.

Ripartita un corno, lasciatemi dire.
A me sembra al contrario che tutto sia in stallo, impantanato, e che, anzi, se proprio un movimento c'è ci sta tirando verso il basso. Non parlo della mia situazione personale, ma rifletto su quella generale che stiamo attraversando. Ho la sensazione urticante che la comunicazione sia volta a un generico voi fatevela andare bene, noi abbiamo trovato modi rapidi e diretti per fregarvi.

La parola più usata - e abusata - del 2020? Smart (e non è nemmeno italiana, sob!); oggi tutto è smart: gli acquisti, i corsi, il cibo pronto, i kit di sopravvivenza, il lavoro... Certo, l'ultima tendenza è un sollievo per chi come noi, pazzi idealisti e un po' alieni, lavora in casa da anni, perché oggi ci sentiamo un po' meno pazzi e idealisti, e sì, anche meno alieni. Ora dire che si sta lavorando in qualsiasi momento della giornata e in qualsiasi angolo di casa è quasi normale, e c'è addirittura chi ti parla con più rispetto, perfino chi ti ascolta mentre racconti che hai avuto una giornata più produttiva del solito! Che paradiso. 

Ma non è così semplice: per gestire una vita così, una vita di "disponibilità illimitate", in cui si può seguire un corso di pilates mentre il nutrizionista ci fa una consulenza, dopo aver frequentato una lezione di greco antico e ritirato un Just Eat, ci vuole disciplina. Non si impara da un giorno all'altro a distinguere i momenti di lavoro da quelli della famiglia, a non invadere lo spazio/tempo dedicato alle pause o al relax. Eppure è necessario farlo perché, altrimenti, si viene risucchiati da un tunnel di iperattività che toglie sostanza alle cose concrete.

Dubito che tutto tornerà come prima. La comunicazione delle aziende ha virato sull'idea di una vita comoda, appagabile con un click (ancora: smart), e se l'economia ha investito in questa direzione non basterà la fine dell'emergenza sanitaria a tornare alle vecchie abitudini. D'accordo, personalmente da un lato ci sguazzo: dopo anni che aspiro a poter gestire tutte le faccende pratiche dal mio studio, oggi mi sembra di vivere sotto l'albero della cuccagna.  

Però non facciamoci ingannare. È vero che bisogna pur convivere con le restrizioni dovute alla pandemia e ai variopinti decreti del nostro governo. È vero che non solo è utile, ma anche intelligente, imparare ad aver a che fare con le nuove metodologie: se ben utilizzate semplificano, velocizzano, risolvono e ottimizzano (soprattutto ottimizzano il tempo). Ma è sempre così? Forse qualcosa in merito potrebbero dirci gli insegnanti e gli studenti... 

Facciamo attenzione: tutto ciò deve essere uno strumento. Un mezzo utile ad alleggerire e semplificare, non a modificare la nostra vita in profondità. E, anche se la tecnologia all'apparenza è democratica, è sempre meglio tenere a mente che saper utilizzare gli strumenti non ci trasforma in esperti, non amplifica il nostro talento, non ci rende migliori. 

È un periodo rischioso, questo, perché anche se ci stiamo abituando a tutto, anche se stiamo metabolizzando dinamiche estranianti come fossero naturali, ci sono certi aspetti della vita che non possono essere sostituiti e che, quando vengono a mancare, ci rendono tutti un po' uguali e facilmente manovrabili
Non dimentichiamo i baci, e gli abbracci, perché nulla, nulla al mondo li può sostituire. E quando ci si abitua a non darne più, è pericoloso... Si può pensare di non averne bisogno.
Non dimentichiamo l'amore, quello vero, quello che è costante attenzione, e litigi e scambio e crescita attraverso un contatto fisico e uno scambio faccia a faccia.  Non dimentichiamo di fare l'amore!
E non dimentichiamo l'odore della pelle dell'altro, degli altri; il piacere di accarezzare i capelli della nipotina o la sensazione di stringere la mano rugosa del nonno; l'umanità che c'è nell'adeguare il nostro passo a quello di chi ci cammina accanto. Essere lontani dai propri affetti non significa perderli (lo dite a me?!), sì, ma anche se le videochat, alla fine, hanno sostituito  telefonate magari stitiche e molto più rare, sono solo un palliativo.

Ricordiamoci, ogni tanto, di scollarci dagli schermi e guardarci intorno, e chiederci: cosa sto facendo? Cosa ho fatto oggi, ieri, nell'ultima settimana? Nell'ultimo anno? Guardiamo le nostre mani ogni tanto, chiediamoci per che cosa le stiamo usando.
Io ci ho pensato; sapete cosa ho fatto perlopiù, nel 2020? Ho lavorato, né più né meno come prima, "comodamente" da casa mia. Ho letto libri (di carta), ho colorato e disegnato, ho cucinato e ho chiacchierato. Non appena ho potuto, sono corsa dalle persone lontane a cui voglio bene per uno scambio, fugace ma vero, non mediato da mezzi elettronici.

Ma ora, concedetemelo: sono stanca. Mai come in questo periodo mi pesa il distacco e la mancanza di libertà. L'impossibilità di scegliere con chi stare, dove andare.

Però, come al solito, cerco di vedere il bicchiere mezzo pieno (e mezzo pieno di vino robusto). Mi dico che forse lo stop dovuto alla pandemia su di me ha avuto un effetto positivo: mi ha aiutata a concentrarmi sui diversi aspetti della mia vita e a rimuovere la patina dell'abitudine, della noia, del trascinarsi delle cose; ho potuto isolare e comprendere quali sono i miei reali bisogni. Alcuni li conoscevo, erano già ben saldi dentro di me; altri invece li ho scoperti con sorpresa. E sebbene la mia quotidianità, da un punto di vista pratico, sia cambiata molto poco nell'ultimo anno, oggi sembra che tutto sia diverso e sia mutato a una velocità supersonica. 
Mi sono resa conto un'altra volta che non c'è niente di fisso, di immobile, e che la vita è davvero destinata a evolversi di continuo. Quindi c'è poco da fare, se non tenere il passo.

E voi? Come state? 
Baci,
L.


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