Sull'Amicizia (un altro racconto autobiografico)

All'incirca un anno fa, al termine della scorsa estate, ho litigato con la mia migliore amica.

In realtà non è stato un vero e proprio litigio, niente discussioni, niente urla, niente offese. Niente di niente, per la verità. Ho solo sentito che un muro compatto di dolore, di frustrazione, di rabbia e incomprensione si è innalzato tra di noi, con la rapidità di una freccia scagliata che centra il suo bersaglio. E' stato tremendo. Lei, la mia amica da sempre, la confidente di ogni segreto, il supporto dei momenti più neri e il sostegno in ogni impresa, all'improvviso per me era un'estranea. Ho masticato la freddezza, accarezzato il distacco, accolto la tristezza. Ho sperato per un istante che si trattasse di una nuvola passeggera buttata sopra di noi da un volere bizzarro, in un fare fantozziano, solo a ricordarci delle nostre umane fragilità.

Invece. Invece di lì a poco ho avuto il mio incidente, ciò che mi ha paralizzata per settimane e mi ha resa incapace di fare, ma mi ha costretta a guardare, ascoltare, pensare, sentire. Non ho sentito la sua presenza, nemmeno davanti al primo vero e completo crollo della mia vita. "Non c'è più", ho pensato. Ho sperato che tornasse, ma lei non tornava. Sentivo la sua voce, in un cortese interessarsi, ma era come se non ci fosse niente di suo in quella voce, come se lei avesse deciso di proteggersi dalla nostra amicizia, di andare alla ricerca di uno spazio privato da cui escludermi. Non riuscivo a parlare con lei, mi arrabbiavo, soffrivo. Poi mi sono preparata a perderla, dopo mesi. Poco prima che iniziasse il lockdown ero pronta a rompere un rapporto esistente da sempre, a far spazio nella vita a una nuova potente rottura che, sapevo, questa volta mi sarebbe costata tantissimo. 

Nello spazio della mia solitudine, scossa da questo evento e da grossi cambiamenti che avvenivano in me, limitata da un arto destro che non collaborava più, tentavo di raccogliere le fila e di non perdere la direzione. Mi sono aggrappata al lavoro come fosse una zattera, nell'intento di galleggiare, seppur alla deriva, sopra un mare sempre più buio e profondo. Scrivevo, scrivevo, nel testardo tentativo di portare avanti il progetto su cui investivo energie ormai da un anno, dicendo a me stessa che non potevo disperdere le mie attenzioni. Il problema è che il focus del mio lavoro, la sua causa scatenante, era proprio una storia di amicizia. E troppe volte, nello sconforto, la mia storia sembrava ormai priva di senso, vuota del suo significato, sterile nel suo scorrere tra virgole e parole, senza più fondamento al suo interno. 

E allora sono stata costretta a riflettere sull'AMICIZIA; davvero. Ho cercato di capirne il valore, più del significato, la consistenza all'interno dello scorrere del tempo e dell'età che avanza e non consente rallentamenti. Quale valore ha un'amicizia nella vita di una persona di quarantacinque anni? - mi sono chiesta. E' facile acciuffare una valenza pensando ai bambini, ad esempio, al loro bisogno naturale di socializzare e discutere, giocare e litigare, per prendere le misure con lo spazio che essi occupano nella vita. Ma cosa accade quando si è ormai adulti, sposati, genitori? Quando i genitori stessi iniziano ad apparire non più dei pilastri inaffondabili ma persone fragili, a cui dare attenzioni ed energie? Quando i mariti e le mogli, senza volerlo, iniziano a darci per scontati? Quando i figli arrivano all'età in cui hanno bisogno di sfidare la nostra autorità e tastare la loro indipendenza? Quando il lavoro, le questioni quotidiane, la spesa e le bollette da pagare sembrano succhiare via ogni briciolo di entusiasmo? Quando una distanza di centinaia di chilometri rende ogni rapporto complicato?

Ebbene. Ho faticato a trovare la risposta. Annaspavo. E ancora non lo so. Non so definire che valore abbia l'amicizia nella mia vita, ad esempio. Però oggi sfioro uno speciale pacco di caffè, e mi accorgo che sto sorridendo perché forse la risposta è più semplice di quel che appare; per me gli amici in fondo sono come una tazza di caffè. C'è un caffè per ogni occasione: la mattina, per ricordarsi della propria identità, e per ritrovare l'energia; dopo i pasti, perché un buon caffè aiuta a digerire bene, a sentirsi soddisfatti; in ogni momento di stanchezza o di noia, per una pausa rigenerante, per ritrovare lo stimolo a proseguire nelle proprie attività; ma anche senza alcun motivo, se non quello che provoca piacere. E poi il caffè ha un buon profumo, sa di casa, sa di cose rassicuranti e conosciute, e allo stesso tempo nasconde nel suo aroma un che di inaudito, una sorpresa, un desiderio sincero di sperimentazione e condivisione. Ogni volta, in ogni singola tazza.



Sì, l'amicizia per me è come il caffè. Non importa se, a volte, abusarne fa alzare la pressione o venire la tachicardia. Se, in rari casi, lascia addosso una lieve nausea. Nella normalità per me è indispensabile, è il primo profumo della giornata, è la mia dipendenza preferita. 

A suon di caffè ho terminato il mio lavoro, ho tenuto botta. Ho ritrovato un'autonomia soddisfacente e imparato a convivere con un limite fisico che ora fa parte della mia vita. Ho superato diversi momenti di crisi, personali e relazionali. E ho dedicato la mia estate a cercare il tempo per loro, per i miei amici, per riacciuffare anche quei rapporti che parevano lontani, raffreddati, immobilizzati su se stessi. Non è così, non è così. Ci vuole costanza, ci vuole sincerità, ma basta una soffiatina perché la polvere voli via e si depositi da qualche altra parte, lontano.
E ci vuole anche tempo (e pazienza) perché la distanza obbliga a scegliere, volta per volta, a quale porta bussare.

La mia amica? Beh, lì la storia si fa lunga; per me lei è il primo caffè della giornata, l'ultimo della sera, e anche quello preferito per la pausa più rilassante. E' un foglio di carta pieno di scarabocchi strappato e poi rimesso insieme con lo scotch. Lei è tante cose, e lo sono anche io; ma forse bastano due paia di occhi felici e luminosi, catturati in una giornata speciale, per concludere questo racconto come merita. 


Baci,
L.

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