Delle potenzialità e dei fatti

A quarantaquattro anni suonati, mi sono resa conto improvvisamente che non riesco più a sentir parlare di potenzialità. 

Le potenzialità sono una bella cosa, diciamocelo: è come riuscire a guardare oltre le apparenze, andare dritti alla sostanza, al cuore dei concetti o delle persone; significa insomma avere una visione. Significa saper osservare e vedere quello che ancora non c'è, ma potenzialmente può emergere. E' un dono, ma non è un dono di tutti: essere in grado di non fermarsi allo strato superficiale delle cose ma saper affinare, sgrossare, tirare fuori il meglio, è una dote incredibile.

Eppure, molti anni fa, un professore che stimo tantissimo mi disse che a volte avere un dono così è una specie di maledizione. Allora non avevo capito cosa intendesse dirmi, ma oggi improvvisamente il succo di quel discorso mi è molto chiaro. E' inutile faticare per far emergere qualcosa di profondo se l'investimento è a senso unico. 

Personalmente, nella mia vita credo di aver investito tantissimo; in termini di energia, di tempo, di lavoro, e a volte anche in termini economici. E' un 'tantissimo' personale, naturalmente, rapportato alla mia vita e ai miei bisogni, ma mi è chiaro che ho sempre amato le sfide, e il desiderio di lavorare sulle cose e sulle persone (me compresa) per ottenere risultati ottimali mi ha sempre caratterizzato. Ora, però, è come se mi fossi stancata delle promesse. Spesso non si tratta di promesse verbalizzate, ma di obiettivi che ci si pone, quasi come se migliorare le situazioni fosse una sorta di ragion d'essere. Attenzione, non intendo dire che sia sbagliato puntare a migliorarsi, no. E' un ragionamento più sottile; è come sentire il bisogno, ad un certo punto, di misurarsi con quello che c'è e non soltanto con quello potrebbe diventare.

Come dire: c'è bisogno di FATTI.

Alle volte bisogna avere il coraggio anche di guardarsi intorno e iniziare a vedere le cose semplicemente per quello che sono, anche se sono deludenti. Bisogna capire che a volte il miglior punto di partenza è un dato tangibile, non un qualcosa che ancora non esiste, e da lì iniziare. Alle volte uno dei migliori traguardi è essere consapevoli di quello che si ha e non sentire il bisogno di trasformarlo in qualcosa di diverso. Spesso è bene concentrare la creatività su attitudini concrete, che possono essere misurate, che possono rendere facilmente l'idea di un risultato, perché si è semplicemente dato forma e sostanza a qualcosa che già era latente.

Così, mi duole dirlo, vale anche per le persone. Se una cosa ho imparato negli anni è che le persone non cambiano; anzi, meglio: non cambiano per gli altri. Tutti ci evolviamo, tendiamo a migliorare, ad essere persone più mature e più aperte allo scambio, ma quando accade lo facciamo solo per noi stessi. E' vero che molti di noi hanno sopiti nell'animo intenti e attitudini meravigliose, ma allo stesso tempo è vero che spesso non siamo interessati a farli venire alla luce. Non credo che esista una spiegazione lucida, è semplicemente così. Ognuno di noi piano piano si crea una  personale zona di comfort in cui si sta bene, e non si ha voglia di continuare ad estenderne i confini. E ognuno di noi ha la sua storia alle spalle e i propri dolori, e i propri limiti. Infine, il mondo è pieno di persone che si accontentano e non hanno voglia di cambiare nulla (anche se poi, magari, passano il tempo a lamentarsi... Ma questa è un'altra storia).

Quando ci si rende conto di tutte queste dinamiche, come sta accadendo a me negli ultimi tempi, è come se anziché continuare a voler alzare l'asticella e vivere sempre sul filo si senta un improvviso bisogno di fermarsi e guardarsi intorno con occhi concreti. La nuova sfida diventa vedere e toccare con mano quello che già esiste, senza volere tirar fuori chissà che; interagire con persone che sono così, e quindi accettarle come tali e imparare da loro lati della vita che noi magari non immaginiamo nemmeno che possano esistere. Significa anche trovare del bello in situazioni banali, e senza stancarsi troppo. Ma soprattutto, significa avere la mente sempre lucida e reattiva perché non strafatta a furia di concentrarsi su quello che vediamo solo noi e che sentiamo il bisogno in tutti i modi di condividere. Ed è capire anche che per la stragrande maggioranza agli altri non interessa questa condivisione, perché hanno già le loro personali questioni da sbrogliare.

Insomma, com'era? Take it easy!
Ecco, forse finalmente l'ho imparato. O ci sto provando.
Vivo delle improvvise gioie come perdere del tempo, e per me è cosa nuova. Lo sto imparando anche da mio figlio, lo ammetto: appurato che ormai la sua traccia di uomo si è costruita, di colpo mi è passata la voglia di volerlo guidare, consigliare, in qualche modo di essere io a organizzare le sue cose. Non che non mi interessi ciò che fa, ma ho capito che è cresciuto. E capirlo mi ha liberato testa ed energia, mi lascia libera di osservarlo 'di fianco', intervenendo solo quando ce n'è bisogno, senza ingaggiare una guerra quotidiana. E, allo stesso tempo, vivo il diritto di avere più tempo per me, da dedicare a cose che mi fanno stare bene e non soltanto a investimenti energetici enormi il cui risultato si vedrà chissà quando (e poi... si vedrà??).

Ecco, per dire che dopo tanti anni a cercare, è ora anche di non credere più alle promesse (verbalizzate o meno, mie o di chiunque altro), alle chiacchiere, agli investimenti univoci. E' ora di credere ai fatti: gli amici sono quelli che si fanno sentire, ti cercano e condividono del tempo con te; i colleghi sono quelli con cui si condivide una parte del tempo lavorativo; i figli sono persone che crescono, rompono le scatole, e spesso diventano persone diverse da quelle che tu ti eri immaginato; le parole sono meravigliose, quando le trovi scritte in un bel libro; il tempo passa veloce, e allora è meglio goderne senza rimandare continuamente pace e relax e divertimento in virtù di chissà quali impegni; le passioni vanno coltivate, sempre e comunque; l'età avanza, ma ha anche i suoi lati positivi; le potenzialità sono parte della vita ed è giusto non trascurarle, ma nemmeno investire tutto su di esse.
E' come aver voglia di un dolce e perdere una giornata a cercare di imparare delle tecniche di decorazione che lo renderebbero bellissimo; ci può stare, ma con cinque ingredienti che abbiamo sempre in casa in pochissimo tempo si sforna un'ottima torta di mele, e la voglia di dolci, semplicemente, E' APPAGATA!
Ovvero: la potenzialità è imparare l'arte del cake design in "X" tempo; il fatto è un'ottima, semplice torta di mele appena sfornata, che risolve un bisogno (= la voglia di dolci). Cotto e mangiato, insomma, come si usa dire!

A livello lavorativo potrei portarvi mille esempi; il più chiaro credo che sia pensare al lavoro come un qualcosa per esprimersi, ma dimenticarsi di guadagnare, come se fosse un optional. Non va bene.



Nel mio caso, penso che l'esempio più eclatante sia stato il mio rapporto con la scrittura: desideravo mettermi a scrivere e farne il mio lavoro più o meno da quando avevo sei anni, e molti avevano caldeggiato questa mia 'attitudine', mentre molti l'avevano scoraggiata. Io vivevo in questo limbo e rimandavo, rimandavo, rimandavo. Poi ho deciso all'improvviso che non potevo fare altro, e che scuse non ne avevo più. E così ho iniziato. In mezzo, ne è nato anche il libercolo con Rosita. Non è importante quale sarà il risultato, l'importante è dare una forma concreta alle cose immaginate.
In altri termini: potenzialità è voler scrivere un libro da tutta la vita; il fatto: scriverlo!

Oppure, citando il saggio Yoda, senza farsi venire troppe paturnie: fare o non fare; non esiste provare.

E con questa perla di saggezza, vi saluto. Che la forza sia con voi!!
Baci,
L.

p.s. quando qualcuno crede davvero nelle vostre potenzialità, investe su di voi.

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