Scrittura o telepatia?

Quando mi sono laureata ho creduto per un breve, brevissimo istante che avrei finalmente potuto dedicarmi a scrivere e smettere di studiare.

Pensavo, alla peggio, di dovermi documentare per creare dei mondi verosimili, storicamente  e/o geograficamente accettabili, al limite per approfondire alcune delle tecniche che caratterizzano i diversi generi letterari.

Poi mi son guardata intorno, proprio ora, e mi sono resa conto che il panorama non è cambiato molto rispetto a qualche tempo fa. Libri, dispense, appunti, note qua e là.


La realtà è che scrivere ha ben poco di quell'immagine romantica e idealizzata che tutti conosciamo. L'ispirazione ritengo sia necessaria, certamente, ma molto è progettazione, costruzione e, soprattutto, focalizzazione. Con la testa libera di esprimere i pensieri è molto difficile autodisciplinarsi, non perdere il filo, non farsi portare dall'immaginazione in mete, ahimé, desolate e al di fuori del contesto.

Come in ogni lavoro - perché, sì, ad un certo punto bisogna poi decidere se si tratta di passatempo o di lavoro - necessita di dedizione, allenamento, pazienza.

La DEDIZIONE è necessaria, perché se non si ama ciò che si fa, L'ATTO DELLO SCRIVERE, del NARRARE, quasi ogni sera verrebbe voglia di buttare via tutto. Ad ogni rilettura le parole sembrano uscite male, il periodo non suona come si vorrebbe, il concetto si è sfiorato ma non analizzato. L'unica vera spinta è il bisogno di farlo, senza pensare alla meta, ma al viaggio. Come dire: testa bassa e pedalare.

L'ALLENAMENTO è ciò che può salvarci dai problemi di cui sopra, perché è innegabile: se ci si esercita con costanza, se ci si impadronisce degli strumenti, se si prende confidenza con le parole, la sintassi, i significati a cui si vuol dar corpo... Beh, allora i risultati si vedono, eccome. Tutto è più fluido, compreso il passaggio intermedio, quello che guida il gruppo di azioni dal cervello alla pagina. Anche in questo settore, quindi, bisogna scaldare la mano.

La PAZIENZA, beh, quella è fondamentale. Ci vuole pazienza per ogni cosa bella, nella vita, no? Bisogna aspettare che lieviti la pasta per una pizza buona; ci vogliono nove mesi per abbracciare il proprio bambino; ci vuole tempo e (tanta) costanza per educare un cucciolo; qualche ora per una marmellata fatta in casa in modo tradizionale... Insomma, la pazienza è la madre di ogni cosa riuscita bene. E, allenando la pazienza, si riescono nell'attesa ad allenare altre doti: l'osservazione, l'ascolto, la gentilezza. Ecco, anche quando si scrive è così: non è solo un buttar giù frasi, quella forse può essere una primissima stesura; poi però bisogna essere bravi ad osservare come si è comunicato un certo concetto, ad ascoltare la musicalità della lingua, "sentire" se le parole sono accordate tra loro (amici musicisti, scusatemi...); infine, ci vuole la gentilezza, verso se stessi: ci sono giornate orribili e giornate in cui tutto fila liscio; in alcuni momenti, è innegabile, ci si incastra, non gira, il testo non ci piace. Allora bisogna praticare la gentilezza. NON scaraventare il pc nel water; NON mandare a XXX il primo che passa di lì (di solito il marito...), NON piangere o strapparsi i capelli. Basta tirare un bel respiro, chiudere (gentilmente) il computer e prendersi una pausa. Più o meno come ho fatto io questo weekend andando al mare, anche se la testa (ovviamente) portava spesso lì, a quelle parole da rivedere e risistemare.

Staccare è di solito il miglior modo per essere gentili con se stessi e il proprio lavoro.

Detto tutto questo, c'è una cosa di cui ho preso coscienza in questi mesi, che mi ha quasi dato forza: non si studia per imparare a scrivere; scrivere è una possibilità che in qualche modo oggi è concessa a tutti, e con molto esercizio nulla è impossibile per nessuno. Inutile sottolineare che i grandi narratori hanno anche altro, rispetto alla tecnica: quella misteriosa scintilla che ti trasporta nel loro mondo, e ti consente di viverci, almeno per un po'. Si studia, dicevo, per imparare a leggere: leggere è infatti fondamentale, e non solo per memorizzare la morfologia o la sintassi della nostra lingua, ma anche per andare più a fondo; per entrare davvero nelle storie altrui, per imparare a interpretare i mille livelli di un romanzo, da quello più superficiale a quello più profondo.

Perché, credetemi, non è facile. Tutti vogliamo dire qualcosa quando scriviamo. Il problema è che possiamo dire in innumerevoli modi, possiamo essere schietti, chiusi, offensivi, a volte superficiali, a volte volgari. Ogni singola frase necessita di un lavoro di presenza, costante e assoluto, dell'autore. Che sia un romanzo, una poesia, il testo di una canzone o un articolo giornalistico, il focus deve essere costante. 

Infine, c'è una certa responsabilità. 
In un romanzo* che ho terminato da poco, che vi consiglio se vi piacciono gli psycothriller, si cita Stephen King e il suo scritto La prova dell'esistenza della telepatia. In sostanza, dice King, ciò che un autore riesce a mettere su carta entra nella testa del lettore, e in qualche modo nel suo cervello prendono forma immagini, sensazioni di chi scrive (paura, gioia, ansia...), colori, luoghi; è come se, ogni volta, il lettore venisse trasportato in un mondo altro. Ecco il passaggio incriminato:


Mi ha colpito molto, in fondo è questo l'obiettivo di ogni romanzo, no? Ricordo certi racconti di Marquez in cui mi pareva di percepire persino gli odori: i profumi dei fiori tropicali, del mare, del sudore. Oppure la paura latente e l'ansia di scoperta in alcuni testi di Zafon, o ancora la consistenza dei colori usati da Vermeer per dipingere "La ragazza col turbante", le palpitazioni di lei, nel romanzo di Chevalier. La decisione e l'orgoglio nelle mani dei protagonisti di Verga, l'insicurezza nelle storie di Svevo, l'ironia e l'amore per il lavoro e per la vita in Camilleri... 
Potrei continuare all'infinito, lo so.

Leggere è vivere in mondi bellissimi. Scrivere è crearli. O forse, come dice King, dare vita ad una forma di telepatia.


Baci,
L.

*Il romanzo cui ho accennato è Il ladro di anime, di Sebastian Fitzek, Einaudi Super ET - € 12,50.


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