Consigli di lettura: "Nel silenzio delle nostre parole" di Simona Sparaco (Sui genitori, sui figli, e sulle parole che non si dicono)

"Quante parole ci diciamo che sono solo silenzio?"

Questa frase mi ha colpita come un sasso in fronte, perché sublima un concetto, una consapevolezza, su cui sto lavorando anche io. E' tratta da un romanzo appena terminato, che mi ha lasciato qualcosa su cui riflettere.

Il libro in questione si intitola Nel silenzio delle nostre parole, l'autrice è Simona Sparaco, edito da DeaPlaneta (per dirla tutta: il libro ha vinto la prima edizione di questo premio prestigioso). E' un libro forte, scritto in maniera cruda e vibrante, commovente in alcuni tratti. Di sicuro invita a pensare.


Non voglio raccontarvi la trama, ma voglio soffermarmi sul fil rouge che dà anche il titolo al romanzo, le parole non dette.

Sono molte le parole che nella vita quotidiana diamo per scontate, per fretta o per pigrizia, o per abitudine, o ancora per orgoglio. Ma qualche volta bisognerebbe ricordarsi che la vita è qualcosa che non ci appartiene, e che nessuno può sapere quale sarà il suo ultimo giorno.

In particolare, tra genitori e figli... Quante le cose che non diciamo mai? Il genitore è il primo delle cose che diamo per scontate, da piccoli, e poi da adolescenti, quando hai tanta rabbia in corpo da poter spaccare il mondo (questa quante volte l'abbiamo sentita, invece?) e vuoi solo diventare una persona diversa da lui/lei. Si inizia una vita propria, si mal tollerano i commenti e i consigli, ma poi si arriva ad un'età diversa, magari a nostra volta abbiamo dei figli, e si scopre qualcosa che spesso ci fa anche arrabbiare, ma che è incontrovertibile: assomigliamo ai nostri genitori. 

"I genitori ci finiscono nello sguardo, nelle parole, senza che ce ne accorgiamo". 

Credo che sia vero, molto molto vero.
Lo dico mio malgrado perché ci sono alcune cose che dai miei genitori non avrei voluto imparare mai, ci sono alcuni tratti di me che avrei voluto non assomigliassero ai loro, ci sono tanti modi di fare e di dire che senza accorgermene sono entrati nel mio modo di essere. 
E ci sono molte parole che avrei voluto sentirmi dire da loro e che non hanno detto, e che ormai so non diranno mai.

E ci tengo a precisare una cosa: non parlo di rapporti biologici. Parlo di somiglianze, modi di fare e di comportarsi, movenze, tic, atteggiamenti e abitudini che si assimilano con la vicinanza, che diventano nostri a furia di convivere con chi, genitore biologico o acquisito, decide di dedicare ai figli (biologici o acquisiti!) il suo tempo, la sua attenzione, la sua cura, il suo amore.

Poi c'è l'altra faccia della medaglia... Essere sempre stati dei figli e improvvisamente ritrovarsi genitori. Beh... Vorrei dire che è tutto diverso, vorrei essere forte nella sicurezza che il mio modo di fare e di essere è un altro, ma devo ahimè ammettere che a volte, spesso, non è facile. Con i miei figli ho sempre cercato di parlare, il più chiaro possibile, ma poi ci sono tante cose che nell'arco di una giornata si pensano e non si riescono a dire, e allora è più facile una frase fastidiosa come "Stai attento" o "Non fare tardi"; per noi sono cariche di significato, c'è tutto l'amore di una mamma che vorrebbe ancora accudirti, ma sa che non è più possibile. C'è nascosto un "Non sai quanto ti voglio bene", moltiplicato per tutte le occasioni in cui non si è detto. Così come nelle sgridate impietose dei babbi, che sembrano crudeli ma hanno in mente soltanto di trovare un modo per iperproteggere i loro figli. 
E poi ci sono quelle cose che non si dicono perché non si è mai pronti, perché si rimanda ad un momento migliore, perché non c'è stata l'occasione giusta, perché il ragazzo è ancora piccolo e non può capire, perché cerchiamo ai suoi occhi di essere persone migliori. 

Personalmente ho imparato due cose: la prima è che i figli, quando cade il mito del genitore perfetto e infallibile, riescono a costruire di noi un'immagine molto veritiera e quasi coincidente con la realtà; non importa quanti elementi manchino, quanti racconti siano stati omessi... Ci riescono, punto. E ci siamo riusciti anche noi con i nostri genitori. La seconda è che le cose che non si riesce a dire diventano negli anni sempre più difficili da tirar fuori. Si rimpiccioliscono dentro di noi quasi a voler sparire, ma restano lì, e non se ne vanno. Ognuno poi sceglie di fare ciò che ritiene sia meglio, ma l'importante è esser pronti a pagare le conseguenze di ogni nostra scelta, giusta o sbagliata, buona o cattiva.

L'importante è aver chiaro che nessuno di noi è perfetto, né come genitore né come figlio. Si può fare del nostro meglio, niente di più.

IN OGNI CASO, bisogna ricordare che a volte ciò che si pensa o si prova deve essere dichiarato, esplicitamente, perché può far bene non solo a noi, ma anche agli altri. Alle volte bisognerebbe prestare più attenzione alle urla senza voce di chi ci sta accanto, che ha bisogno di essere rincuorato, abbracciato, incoraggiato.

Una cosa è importante davvero, per me è sacrosanta: le parole non sono mai inutili. Hanno un peso e viaggiano nel mondo, e quando sono state dette non tornano mai indietro. Nel bene o nel male possono cambiare un istante, una giornata, a volte la vita di una persona. Quindi le parole vanno dette, e con consapevolezza. Le parole sono ciò che danno corpo ai nostri sentimenti, alle nostre storie. 

Buone vacanze, e buone parole.
L.



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