Un racconto autobiografico: "Cronaca di un infortunio NON annunciato"

E' un sabato normale, il sabato che ci porta nell'autunno, e nella assoluta routine all'improvviso accade il patatrac. Qualcosa si rompe, e stavolta non è solo un'immagine.

In questo pomeriggio di settembre avanzato il tempo è ancora clemente, la temperatura piacevole. Infatti per stasera abbiamo organizzato un'ultima grigliata con amici, e per una volta mi è stato impedito di cucinare qualsiasi altra cosa. Posso solo affettare il pane e i formaggi bresciani che ho portato a casa dal mio ultimo raid. Quindi alle cinque mi rendo conto che sta accadendo qualcosa che ha del miracoloso: sono a casa da sola in tutto relax. Nico è uscito con i suoi compagni, e rientrerà giusto per cena. Marti è appena partita con Simo per andare al compleanno di una sua amichetta e si fermerà da lei anche a dormire. Così decido di approfittare della pace per buttarmi in doccia, ma ho intenzione di affrontare una Signora Doccia, una come si deve, con maschera per i capelli, scrub, trattamento per i talloni e idratante totale all'uscita. Ho voglia di gesti lenti e coccole odorose.
Calcolo che Simone non sarà di ritorno prima di un'ora, un'ora e mezza, e decido che ho tutto il tempo per togliermi lo sfizio.

E così meno di cinque minuti dopo sono sotto l'acqua e sto cantando a squarciagola; ho lasciato il cellulare sul piano del lavabo che riproduce Vasco a Modena Park ad un volume a dir poco indecente. Ma per una volta chi se ne frega, non mi importa di chiudere la finestra, non mi importa di disturbare i vicini. Sono in un periodo un po' particolare, mi convinco di meritare una piccola pausa e mi convinco pure che i vicini sono altrettanto presi dai rumori dei loro tosaerba e di me non si accorgeranno nemmeno - in effetti è stato un pensiero profetico.

Poi ho finito la mia Signora Doccia, e mentre pregusto il rito della crema profumata mi sporgo verso il lavabo per afferrare l'asciugamano. E scivolo.

Non è una scivolata immediata, ma un lungo istante che, se fosse un film, sarebbe girato al rallentatore. Un episodio delle Comiche. Sento i piedi che a turno vanno all'indietro, e non riesco a fermarli. Con il corpo invece sono protesa in avanti, stringo l'asciugamano nella mano destra come potesse salvarmi; la mano sinistra cerca all'indietro un appiglio qualsiasi, che non riesce a trovare. Infine, mi vedo cadere. In avanti. Riesco a pensare che in una frazione di secondo la mia fronte andrà a sbattere sul piano sporgente del marmo intorno al lavabo, spinta da tutto il mio peso, e allora morirò. Non mi passa davanti tutta la mia vita, come nella migliore letteratura, ma forse un potente istinto di sopravvivenza mi porta a tentare di proteggermi la testa e compio mentre casco una specie di rotazione.

E poi sono in terra. 
Il dolore non è descrivibile. Prendo coscienza di non aver sbattuto la testa, di essere viva. Sangue non ce n'è. Lentamente inizio a cercare di fare il punto della situazione, capire come venirne a capo. Capisco di essere atterrata con tutto il mio peso sulla spalla destra, che mi duole e pulsa e non risponde ai comandi. Il braccio destro è sotto il mio corpo e non c'è verso di muoverlo, ma le dita sembrano prese da una strana smania e tremano come ballassero la tarantella. Il sinistro è girato all'indietro e le gambe, dalla coscia in giù, ancora nella doccia. 
Sono immobilizzata. Non ho nessun appiglio, nessuno, non riesco a far leva in alcun punto per provare a rialzarmi. Il telefono è troppo in alto e troppo lontano e ora il volume troppo alto dà fastidio anche a me. Per terra c'è tutto bagnato, è tutto scivoloso, e sono nuda. Sono una balena spiaggiata, in pratica.

Poi mi sovviene che sono a casa da sola e che, passato il momento della botta, il dolore persiste e io non ho modo di salvarmi da sola. Allora, e solo allora, provo un senso di paura talmente limpido da disarmarmi. Perdo ogni ritegno, urlo, chiamo, grido aiuto, piango, forse solo per sfogarmi. Sono lucida e so che Simone arriverà. E non so come, ma so che mi salverà. I cani si agitano al di là della porta, li sento uggiolare e abbaiare, impotenti. Continuo ad urlare, ma i vicini non sentono, troppa musica e troppi tosaerba. E poi, cosa mai potrebbero fare?

In realtà nel frattempo è arrivato uno degli amici, mi ha sentita chiedere aiuto, ha allertato Simo - che ora sa che è successo qualcosa e arriverà velocemente, lo so - e ha scavalcato il cancello, una finestra, è entrato in casa e bussa alla porta del bagno, agitato. Ma io sono in terra nuda, e riesco solo a dire che sono caduta e che voglio Simone.

Questo tempo mi sembra un'eternità ma in realtà non credo sia durato molto. All'improvviso non sono più sola, siamo in due e come sempre cerchiamo di far fronte all'emergenza il più lucidamente possibile. La priorità è rimettermi in piedi e allontanarmi da quel pavimento, a cui nel frattempo mi sono appiccicata come una ventosa. Inizio a sentire freddo e a sentirmi intontita, qua e là mi viene da svenire. Però capisco che la fonte del dolore è davvero la spalla, e ho il sangue freddo di farmela bloccare in qualche modo con un lenzuolo, unica speranza di focalizzare le energie rimaste e uscire da questo cazzo di bagno. O, come verrà ribattezzato una settimana dopo dall'amico Stefano, dal Bagno dell'Orrore.

Infine, sono seduta sul letto e in qualche modo vengo rivestita. Quando scendo per andare all'ospedale trovo in soggiorno gli amici, mio figlio nel frattempo rientrato, e molta preoccupazione sui loro volti. Il pensiero della grigliata ovviamente si è volatilizzato. 
La mia bambina scoprirà dell'incidente solo il giorno successivo quando Simo andrà a riprenderla.

All'ospedale tutto procede alquanto velocemente e nel giro di qualche ora c'è un posto letto tutto per me e sono in lista d'attesa per un intervento di ricostruzione con protesi della testa dell'omero, che si è sbriciolato. Frantumato. Esploso.
Smetterò di dormire.
Scoprirò l'immensità dei gesti automatici che si fanno con la mano destra, e di quanto sia difficile educare la sinistra ad acquisire anche i più elementari.
Scoprirò che è difficilissimo leggere con una sola mano, e girare le pagine.
Scoprirò di dover dipendere dagli altri, anche nei momenti più essenziali e più intimi.
Scoprirò che in queste nicchie di fastidio c'è tanto amore, e ne sono grata.
Mi renderò conto che per quanto io possa stare male, c'è sempre chi sta peggio. 

Accetto il fatto che devo fermarmi. Prendere una pausa. Ricostruire la mia spalla e tutti i momenti che si danno per scontati ma che scontati non sono per niente. 
Alla fine mi farà bene.

Cinque settimane di inabilità assoluta e un periodo non meglio definito di riabilitazione. 
E l'unica cosa che riesco a fare, con fatica e dolore, è educare la mano sinistra ad avere il controllo del pc.
Perchè è così... Non riesco a smettere di scrivere.
E forse in questi giorni non ho nemmeno niente da scrivere, niente da dire.

Di che parlo sul blog?
Del fatto che ho avuto un incidente da imbecilli?
Del fatto che ora ho paura di tutto? Che vedo possibili tragedie in ogni passo, in ogni spigolo, in ogni stanza? Che prima o poi passerà?
E a chi potrà mai interessare?

Ma sì, dai, chi se ne frega.
Ormai sono una donna bionica.



L.

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