La RABBIA, compagna di vita



Uno dei sentimenti più costanti che ho provato nell'ultimo trimestre è la rabbia.

E' una compagnia spiacevole per me, perché non sono abituata a vivere preda di emozioni costanti o di stati d'animo che persistono indipendentemente dagli eventi esterni.

Mi sono osservata tanto a lungo, in questi mesi. Non è che avessi molto altro da fare, in effetti. Tutti i miei peggior difetti, spinti un po' dal dolore e dalla fatica e un po' dall'esigenza di condividere controvoglia spazi privati, sono venuti a galla. Mi sento intollerante, chiusa in me stessa, egoista e insofferente.

Pare che il decorso post-operatorio stia procedendo come da manuale. Avverto ogni giorno minimi miglioramenti, ma mi accorgo di aver perduto la dimestichezza con i gesti più istintivi e banali, e rendermene conto è stato disarmante. Devo rieducare il mio corpo a compiere movimenti che ho sempre dati per scontati, imparati e assimilati fin da quando ero bambina. Per intenderci: ancora non riesco ad usare la forchetta, ancora non riesco a usare il braccio destro per mangiare. Parlando di me, diciamolo pure, sembra una presa per il culo.

Inoltre, ho la continua e spiacevole consapevolezza che in fondo non ho molto di cui lamentarmi: ho avuto un incidente che non dovrebbe lasciare particolari conseguenze, quando il mondo è pieno di persone che stanno male sul serio, e mi basta guardarmi intorno in una qualsiasi delle mie sedute di fisioterapia per rendermene conto. 

Ma tutto ciò non basta. Sono arrabbiata. Basta un niente, una microscintilla di attenzione in qualcosa che mi ronza intorno, e mi sembra di impazzire. Non me lo spiego. Mi sono buttata sul lavoro in questo periodo, chiusa intere giornate nel mio seminterrato davanti a un computer, nel mio bunker privato, ed è stato l'unico sollievo. Non appena apro gli occhi intorno a me - e osservo - mi sento assalire da una specie di disgusto che non riesco a motivare. Credo sia un mix tra un senso assoluto di dipendenza, di impotenza, di impazienza, e mi sale alla testa, non riesco a controllarmi.
Chi ne fa le spese, naturalmente, è la mia famiglia. Mi dispiace, mi dispiace, ma è un momento così.

Non sono brava a gestire le relazioni in questo periodo, nemmeno quelle virtuali, nemmeno quelle meno coinvolgenti. Anzi, forse sento la mancanza di alcune relazioni vere che, come i miei movimenti istintivi da destrorsa, davo per scontate. E invece scopro che forse anche quelle vanno ricostruite da zero, che forse una riabilitazione per quelle non basterà.

Il problema è che la mia capacità di essere diplomatica, di filtrare, di tollerare, si è sbriciolata insieme alla testa del mio omero. Non so se esiste una protesi per tutto questo, non so se otto viti di titanio basteranno a riportare nella mia quotidianità delle attitudini che ero convinta facessero parte di me e ora mi sembrano del tutto aliene. 

E' come se questi mesi stiano ricostruendo una persona da tanti pezzi sparsi che di sicuro è più immediata e diretta, ma in fondo è priva di pazienza e non so se sono in grado di gestirla. Un po' mi spaventa.
I sentimenti sono ancora più forti, ma amare senza filtri e senza il velo delle distrazioni e delle incombenze quotidiane a volte può essere struggente. Tutto ciò che scorre tra le mani è puro, distillato, e scotta di più.

Considerato il periodo, tra le altre cose, per essere diplomatica posso dire che il mio spirito natalizio quest'anno è emigrato. Difficile da conciliare in una famiglia in cui, almeno da quando è nata la mia Martina, da quando si era girata una pagina davvero pesante, la Grande Festa era il Natale, e per una durata media di almeno un mese. 

Sabato scorso ho fatto una gita a Roma, sono andata ad attendere l'alba al Gianicolo. Una delle immagini che più mi è rimasta impressa è quella di un gabbiano sulla testa di Garibaldi. 


Ecco, io mi sento un po' così, in questo periodo, come quel gabbiano. In bilico su qualcosa di grande, di solido e importante, ma ostinatamente rivolta dalla parte opposta. In direzione ostinata e contraria, citando il vecchio Fabrizio.

Se respiro forte e cerco di osservare la situazione dall'alto, come il gabbiano di cui sopra, devo ammettere che il mio incidente domestico è arrivato in un momento in cui un grosso cambiamento era già in atto e certi meccanismi si erano già innescati. Se è vero che nulla viene a caso, come io ho sempre creduto, penso che un momento di fermo obbligato fosse necessario per me proprio per soffermarmi sulla peculiarità di questo periodo, per evitare che alcune cose scorressero via nel marasma degli impegni e delle distrazioni quotidiane.
E forse è proprio questo che fa scaturire la mia rabbia, pensandoci bene. 
Ci sono cose nella vita che a volte si vorrebbe non guardare, a cui si preferirebbe non dare troppa attenzione, e invece è necessario fermarsi e osservarle da tutti i punti di vista possibile. 

Questo, sì, lo sto facendo.
Non è piacevole, ma è utile. Se c'è un lato positivo è che osservare le cose e le persone da fuori, dall'alto, alle volte aiuta a sorvolare anche su atteggiamenti e dinamiche che ci hanno sempre dato fastidio.
Nel periodo più arrabbiato della mia vita, nel momento in cui la mia frustrazione è ai suoi picchi più alti, beh... Ho capito che sto imparando a perdonare. Ad accogliere e accettare.

Pensandoci bene... che lo spirito Natalizio si celi in questo? Nel perdono e nell'accoglienza?

Nel caso... Buone Feste a tutti!
L.

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