Addio uomo, arrivederci Maestro.

Per una volta invado la mia sfera privata, brutalmente. Ma non posso farci nulla, perché provo un dolore vero, non un'evocazione. 

Mi è sorto un ricordo, vedete, non appena ho saputo della dipartita di Battiato.
È un pomeriggio torrido, nell'agosto del 2003, e sono sdraiata sul letto a fianco della persona che amo. Le tapparelle sono abbassate, siamo in penombra, e tutte le finestre aperte creano un po' di contraria, così c'è una tenda di organza, leggera e blu, che ci svolazza vicina. Ciò che vedo nel mio ricordo sono le nostre mani, che si avvicinano, si sfiorano appena, poi si toccano e si stringono, si separano ancora; iniziano una danza che non è prevista, e sono così coordinate. Sembra che le nostre menti si siano messe d'accordo, le dita compiono gli stessi movimenti, i palmi si cercano in contemporanea, si distaccano nello stesso istante per poi riavvicinarsi, desiderarsi. Io e lui non ci guardiamo, ma stiamo sorridendo l'uno all'altra. E abbiamo lo stesso pensiero, è evidente: siamo sintonizzati
Siamo sintonizzati sulla nostra frequenza, che è stabile e trasmette senza disturbo solo in attimi idilliaci come questo. È un istante perfetto. Siamo in pace, siamo in una bolla di unione esemplare. Non c'è niente da dire, non serve disturbare l'aere con parole superflue, con significati che non vanno assegnati, perché come fai a restringere in una parola l'immensità di quello che stai provando? Solo uno come Battiato ci riesce. E tu guarda, il sottofondo di questo istante perfetto è proprio la voce di Battiato. Non ricordo quale canzone, quale album. Ma non è importante. 

Ecco, io non posso sprecare parole critiche sul Battiato musicista. Non ci capisco niente di musica, lo ammetto con il cuore in mano. Crocifiggetemi, ma io ascolto Battiato e Vasco, e poi Elisa e De André, Gazich e Tao. Così come nelle mie letture, sono altalenante e incontrollabile anche nella musica che ascolto. Però una cosa l'ho capita: ascolto solo ciò che mi emoziona. Ciò che riesce ad aprire in me alcuni canali. Ciò che mi rende accessibile un mondo mio che tengo seppellito, che è troppo impegnativo o troppo doloroso lasciar fuggire e poi inseguire nel quotidiano. 

La musica di Battiato io l'ho (ri)scoperta a metà degli anni '90, dopo averla rifiutata e rigettata per tanto tempo, come reazione all'ascolto ossessivo che ne faceva mio padre quando ero bambina. 
Poi però in quel periodo si è aperto un varco, e lui - lui il musicista, lui il ricercatore, lui l'artista - l'ha saputo riempire. Mi ha dato esattamente ciò che in quel momento avevo bisogno di trovare. Non so perché. Forse perché proprio allora ho scoperto la meditazione, e ho avuto un Maestro (nel vero senso della parola, sì) che per certi versi parlava una lingua simile alla sua. Lanciava pietre, apriva spazi. Piantava semi che poi io avrei dovuto coltivare. O forse perché ho sempre amato l'ironia, e in certe canzoni ho sempre letto un invito, un invito a mollare, a lasciarsi andare all'umiltà della vita e dei suoi angoli osceni, perché darsi un tono non ha senso, ha senso averlo, un tono. Ha senso la dignità, la Ricerca, la cultura, sì, ma qua e là ho sempre avuto la sensazione che Mr. Battiato volesse anche prenderci per il culo, tutti quanti noi, pronti a correre alla comprensione e all'apprendimento di testi che, diciamocelo pure: solo pochi avrebbero potuto afferrare. Eppure.

Eppure io avevo a che fare con un amore immenso e piccolo allo stesso tempo, con un uomo fragile e delicato e tanto grande nel suo dare, sempre afflitto da un senso di colpa con cui puniva se stesso per ciò che negli anni precedenti aveva preso, senza chiederne il permesso, senza tener conto delle conseguenze del suo fare. Era un uomo che stava pagando ciò per cui si sentiva in debito, in un disperato silenzio, in un tormento che non voleva condividere, e che solo a sprazzi lasciava che entrassi, davvero, nella sua sofferenza. In quei momenti, però, era felice di avermi lì. In quei momenti era sintonizzato con me.

Bene, forse io della musica di Battiato ho capito poco. In tutta onestà: non ho nemmeno gli strumenti per poter approfondire certi argomenti. Ma non importa. Io non ho mai voluto essere un critico musicale. Quello che so è che dove non arrivavano le mie, le nostre parole, c'erano le sue. Ed erano efficaci, perché entravano in una dimensione un po' più sottile, un po' più alta e pura di quella con cui dobbiamo fare i conti tutti i giorni. E quando un giorno, in una conversazione, cercavo di spiegare questo mio sentire, quella corda che avvertivo vibrare, come se la potenza evocativa della musica di Battiato fosse una chiave, qualcuno mi ha deriso. «Dovresti farti qualche scopata in più», mi è stato detto. Come se a ventisette anni una frase del genere non fosse ridicola, come se tutto, sempre, girasse intorno a qualcosa di carnale, come se gli esseri umani fossero fatti solo di questo: carne, sangue, merda.

No, non l'ho mai pensato. E continuo a non pensarlo, anzi. Continuo anche la mia ricerca, e cerco di disciplinarmi all'esercizio della gentilezza e dell'attenzione verso il prossimo, anche se è una palestra sempre più dura da frequentare. Ho chiuso invece con certe discussioni, ho deciso di non sporcare più alcuni argomenti con la grettezza di chi non li vuole.
Ognuno ha la sua strada, penso. Che cammini.

La mia, a un certo punto, ha subito un arresto. È franato tutto, quando la vita ha abbandonato il mio amore, quando di lui sono rimasti solo ricordi e parole non dette, o non dette abbastanza. Intorno a me c'era solo vuoto, perdita. Ed è in quel momento di bisogno e di dolore che Franco Battiato, grazie anche all'intervento di un Angelo suo vicino e mio custode, Angelo Privitera, ha fatto un gesto nei miei confronti. Si è reso disponibile a dedicare a me, a me che non sono nessuno, del tempo e dell'attenzione. L'attenzione. La forma più nobile di rispetto per un altro essere umano. È un tendere la mano, è dire: «Chi sei? Cosa ti affligge? Raccontami, ti voglio ascoltare».
E solo per questo, solo per la sua disponibilità all'attenzione, Franco Battiato da quel momento per me non è stato più soltanto un artista, ma è diventato un uomo. 
Qualche settimana più tardi, mi è arrivata a casa una busta bianca, da Milo in provincia di Catania. Era in posta prioritaria, scritta a mano, e il mittente era Franco Battiato, via..., eccetera eccetera. Ho riso. Ho riso tantissimo, e mi sono commossa. Ho pensato: davvero, questa la devo raccontare. Dentro c'era una foto per me, con la dedica e l'autografo. E dopo tanti anni, oggi infine è la prima volta che la racconto.

Oggi scrivo, oggi racconto, dopo aver letto due giorni di unta retorica da parte di tutti, anche da chi, come me, forse di musica non ha mai capito niente (e di spiritualità ancora meno, lasciatemi dire); mi limito a pensare che in mezzo al marasma di testi poco comprensibili, dotti e criptici, Battiato ci ha lasciato in eredità anche parole chiare, facili, dirette. Come a dire: questo lo possono capire tutti. 
 
Questo secolo oramai alla fine
Saturo di parassiti senza dignità
Mi spinge solo ad essere migliore
Con più volontà (...)

Parole così, ad esempio. Parole di brani stupendi che ormai sono, scusate il termine, sdoganati, quasi fossero slogan da portare addosso come segno di riconoscimento. Parole che penzolano nell'aria ormai da decenni, anche oggi che il secolo non è più lo stesso e che, se tutti quanti fossimo in grado di ascoltare, di recepire davvero e di praticare, ci consentirebbero probabilmente di vivere in un mondo migliore.

Fai buon viaggio, Franco. 
È un addio all'uomo, questo mio, ma un arrivederci al Maestro.


L.

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