Perché diciamo "Rubare un istante"?


Ve lo siete mai chiesti? 

Rubare è uno di quei verbi che immediatamente - per educazione, per retaggio, per ataviche regole di convivenza sociale - il nostro cervello abbina a un significato negativo, a qualcosa di amorale. Anche chi compie l'azione del rubare, normalmente, lo fa con la consapevolezza di andare contro una legge ben più forte di quella scritta. L'atto del rubare, del sottrarre volontariamente qualcosa a qualcuno, è sempre, per l'essere umano, una colpa: non importa se è una spinta dettata dall'emergenza, dall'istinto di sopravvivenza, oppure se è una scelta (imposta o meno); anche chi intraprende la strada della delinquenza, pur giustificandosi con personali vedute (il desiderio di raggiungere un potere, il controllo di certi traffici, l'esigenza di ottenere maggiori benefici con sforzi inferiori), ebbene, lo sa. Tutti sanno che rubare è un atto sbagliato in assoluto, e chi è disposto a farlo è costretto e disponibile a rimodulare la propria etica per sostenere le conseguenze morali di un gesto simile e conviverci. Non esistono società all'interno delle quali la pratica del furto è stata mai tollerata, sostenuta, condivisa (tutt'al più esistono società organizzate per praticarla all'esterno, contro nuclei estranei): il rispetto della proprietà, in quanto frutto di sacrificio e lavoro altrui, fa parte delle consuetudini imprescindibili dell'essere umano, che in quanto tale è un essere sociale e, quindi, predisposto all'accettazione di regole tacite e potenti.

Il verbo 'rubare', con le sue derivazioni, è peraltro uno dei pochi che l'italiano non ha ereditato dalla lingua latina: proviene dal germanico *raubōna sua volta derivato da *rauba ('bottino'), ed è curioso come sia entrato di fatto nella lingua italiana con un uso sistematico che ha sostituito le forme latine furtum facĕre (= fare, compiere un furto), subducĕre (= sottrarre) o auferre (= portare via); è curioso anche il fatto che abbiamo ereditato un termine del genere dalla lingua dei 'barbari', i goti, che per i latini altro non erano che gli stranieri, i non romani, senza alcuna accezione negativa della parola; solo successivamente al termine 'barbaro' è stato dato un significato dispregiativo, ovvero (cito dal dizionario Treccani) "appartenente a una civiltà primitiva, arretrata, e per estensione persona ignorante, rozza, oppure feroce, crudele".

Quindi è anche in una sola parola che si avverte una storia, e ciò mi incuriosisce e mi spinge a riflettere. Perché la lingua italiana ha prediletto un termine non latino per esprimere un significato di uso comune? Credo che la risposta sia proprio nella trasformazione estensiva del concetto, ovvero abbinare a un qualcosa di non nobile, rozzo, feroce, la definizione di un atto imperdonabile. 

Ecco, ho raggiunto il punto: rubare è un atto imperdonabile; si invade e si viola lo spazio dell'altro. E allora perché usiamo questo modo di dire, "rubare un istante", quasi una locuzione ormai, per esprimere qualcosa che spesso ha il valore opposto? Gli istanti rubati sono indimenticabili. Fondamentali. Stracolmi di emozione. Danno il senso alle nostre vite. Ma perché sono rubati? 

Non lo so, lo trovo un controsenso. Eppure, se ci ragiono appena un po', capisco che è vero, è proprio così. Se penso alla mia vita vedo un elenco di momenti che non dimentico, che non potrò dimenticare finché avrò lucidità, e sono quelli più emozionanti, quelli formativi della mia storia. Ognuno ha una storia personale, e inevitabilmente esistono lunghi periodi nella vita in cui l'ordinarietà di situazioni, persone, attività, entra violentemente nello scorrere delle giornate. Ci si abitua, in qualche modo. Ciò non significa che non si attribuisca più il giusto valore a ciò che viviamo, ma che, semplicemente, rispettare impegni e portare a termine gli obiettivi necessita di organizzazione e di disciplina e la vita è fatta anche di impegni e obiettivi, sì, sono necessari per non andare allo sbando. 
Così, nell'ordinarietà delle giornate, quando accade un evento grande o piccolo che per un breve istante stravolge le nostre abitudini e ci riporta in contatto immediato con la parte più sanguigna di noi stessi, ecco, lo definiamo un istante rubato. 

E' un istante che rubiamo, sottraiamo, alle nostre consuetudini. Può essere un bacio, un abbraccio, una parola; un sorriso, un amplesso, un pensiero che prende forma. Un sogno che all'improvviso si avvera e che non appena si realizza è destinato a svanire. E' un attimo di appagamento, una parentesi nella logica delle nostre scelte, una boccata d'aria dopo una lunga apnea.
Questi istanti danno corposità, sostanza, alle nostre vite. Non vi rinunceremmo mai perché portano colore e gioia, spesso purtroppo effimera, che non sempre si può condividere; ma si tratta di una gioia destinata a sopravvivere ben salda dentro di noi, a tramutarsi in ricordo. 

E così, rubiamo istanti. Li portiamo via alla noia, allo scorrere pigro delle ore, dei giorni, degli anni. 
Ne facciamo momenti indelebili che vorremmo non finissero mai e che, a volte, avremmo la tentazione di scambiare con tutto ciò che invece è normale, quotidiano. In ognuno di questi istanti un'altra persona incrocia i nostri passi e poi riprende il suo cammino, personale e solitario, e porta con sé un pezzo di noi, pur se è la persona più vicina che abbiamo. E all'improvviso il furto non è solo quello che abbiamo compiuto al tempo, ma siamo noi stessi a essere derubati, e allo stesso modo a possedere un ricordo in più, strappato all'altro.

Quante azioni in un solo verbo. 
Quanti significati in un'espressione di tre parole. 
E in fondo basterebbe qualcosa di tangibile, un oggetto preciso che appartiene all'istante, per avere una sensazione diversa: non più un furto, compiuto e subito, ma uno scambio. Un'orma dell'altro tra le nostre mani, per creare struttura. La carta di un cioccolatino appiccicata su un diario, ad esempio: chi non l'ha sfiorata con lo sguardo, nell'adolescenza, per rivivere un momento? 

Sì, se ci penso bene credo che basti poco, pochissimo. Basta un niente, in certi momenti. Anche un'inutile monetina da un centesimo, tra le mani, può tramutarsi in un'imprevista ricchezza.



Beh, mi fermo qui. Forse ho rubato troppo (per l'appunto) al vostro tempo.
Alla prossima, 
L.

p.s. e riguardo a istante? Per i latini era punctum tempŏris, un punto nello scorrere del tempo. Mi pare un'immagine senza dubbio eloquente.

 





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