Spunti: il cuore, le parole, il sentire.


(Pic by Nicola Andreis)

Ieri una persona a me molto cara mi ha detto che quando parlo mi prendo una pausa prima di rispondere al mio interlocutore. È un breve momento di silenzio, pare, in cui io vado alla ricerca della parola giusta, quella "perfetta", idonea per esprimere nella maniera più esatta possibile quello che è il mio pensiero. 
«Le tue parole arrivano dal cuore» mi è stato detto, «e per cuore intendo l'organo vitale, non un concetto astratto.»
Naturalmente questa conversazione mi ha fatto molto piacere, ma è stata anche uno spunto di riflessione. In effetti, da dove dovrebbero arrivare le parole, se non dal cuore? Dalla testa? Naaa... La testa è il luogo che ci serve per impararle, interpretarle, archiviarle. Ma poi dovrebbe essere il sentimento a condurci verso un nostro linguaggio, la nostra personale versione del mondo. 

Studiando la comunicazione (e chiunque l'ha fatto lo sa), attraverso la semiotica ci si avvicina a una teorizzazione della parola che non la vede più solo come elemento del linguaggio (cioé: una sequenza di parole pertinenti formano una frase di senso compiuto), ma si impara a riconoscere che ogni parola è necessaria a dare un significato alla realtà: una forma a ciò che vediamo. 
È vero, sapete. Sembra una teorizzazione estrema, ma in realtà è un processo molto logico: se io vedo una serie di oggetti dalla finestra, ma non so dar loro un nome, non potrò mai raccontare a un'altra persona quello che vedo; e naturalmente esiste un codice (il vocabolario di una lingua) che consente anche all'interlocutore di comprendere ciò che io dico.
Ecco, qualcuno disse che le parole danno forma al mondo, e io sono d'accordo. Tutti diamo per scontato il nostro linguaggio, ma il linguaggio è una forma di apprendimento costante, un processo meraviglioso. 

Di più: anche i pensieri sono fatti di parole, perché nella nostra testa un pensiero è una sequenza di parole; naturalmente le parole, i vocaboli, che conosciamo. C'è un motivo per cui l'abbassamento culturale degli ultimi anni desta così tanta preoccupazione: più il linguaggio diventa decadente, banale, meno i pensieri saranno critici, originali, autonomi; ovverossia ci si omogenea perfino nel pensiero, e ciò significa meno voci ma più masse, maggior malleabilità, maggior rischio di lasciarsi raggirare. 
È più facile farsi infinocchiare, per dirla in breve.

E, in un periodo storico come quello che stiamo vivendo, direi che la miglior cura, l'unico rimedio per correre ai ripari con rapidità, è uno solo: spegnere il televisore, tappare le orecchie e aprire un bel libro. Aprire il cuore, insomma.

Ecco, ho divagato un po', ma sono tornata al mio ragionamento iniziale. Nelle conversazioni importanti, credo sia necessario cercare sempre una connessione con il proprio cuore, con il proprio Io, la parte nostra più profonda. È lì che custodiamo le nostre verità, e per forza di cose i pensieri, le frasi che arrivano da lì non saranno mai scontate, mai frasi fatte, mai cose banali. E il nostro "sentire", per quanto intenso e complicato, sarà raccontato nella maniera più semplice possibile mano a mano la nostra criticità andrà aumentando: aumentando cioé lo spettro delle possibilità espressive, la possibilità di scegliere che vocabolo usare per esprimere una precisa condizione.
Sapete, non sono teorie. Non ci si può esprimere escludendo dal "codice" comunicativo la nostra emotività, i nostri sentimenti. Altrimenti non saremmo più persone ma enciclopedie, e di quelle ce ne sono già tante.

A volte mi trovo in difficoltà - e più vado avanti con gli anni più me ne rendo conto - perché mi trovo a interagire con persone che faticano a dare "una forma" ai propri pensieri; io riesco a percepire quello che intendono, riesco a leggere dietro alle righe, ma sono consapevole anche che in certe occasioni riesco a interpretare alcune situazioni in maniera più chiara io, che ne sono esclusa, rispetto a chi invece le sta vivendo. Non sono un genio, chiariamoci: è che sono più abituata a scandagliare dentro di me, a voler capire il perché di certe dinamiche, di certe inquietudini, e a cercare di collocarle. È tutto qui, penso. Niente di più.

Stamani mi è passata sotto gli occhi questa citazione di Pearl S. Buck, scrittrice americana che ha vinto il Premio Nobel della letteratura nel 1938:

"Io amo le persone. 
Io amo la mia famiglia, i miei bambini... 
ma dentro me stessa c'è un luogo dove vivo tutta sola 
ed è dove rinnovo le mie sorgenti che non si prosciugano mai."

Ecco, penso che si tratti di un pensiero molto ricco: innanzitutto noi amiamo, ed è ciò che ci rende (ancora) esseri umani. E poi, tra le righe ma non troppo: l'autrice dichiara di essere collocata nella sua famiglia, di rispettare il "ruolo" che le compete e di svolgerlo come deve, ma d'altra parte ammette di avere un mondo suo, SOLO suo, in cui ritrova se stessa. In cui rinnova le sue sorgenti, che non si prosciugano mai. Lo trovo un concetto eccezionale. Esprime la ricerca, l'interrogarsi continuo, il desiderio di non limitare se stessi al ruolo che socialmente ci spetta, non autoimbrigliarsi e riconoscersi in un'identità unica, comprensibile nell'immediato. Sono molto d'accordo: il cuore, come organo vitale, e l'animo, come luogo del sentire e dell'essere, vanno costantemente nutriti, abbeverati (per restare vicino all'immagine delle sorgenti). 
Noi siamo persone: individualità cosparse di incertezze ma variegate, dai molteplici aspetti, dalle infinite sfaccettature. È importante ascoltarsi, non limitarsi a riconoscersi in una soltanto di esse. Per dirla "facile": non siamo solo mogli, madri, amanti, mariti, padri, insegnanti, fratelli, zii. Eccetera. E a volte quello che siamo fa paura perché è potente, perché trascende una definizione, perché va oltre quello che gli altri si aspettano da noi. Siamo un prato fatto da tanti fili d'erba, e ognuno è importante, ognuno è necessario.

Sapete, sto lavorando a un nuovo romanzo, e questa ne è un'idea chiave. Curioso imbattersi, quest'oggi, in una citazione del genere.

E voi? Come state oggi? Come esprimereste il vostro sentire, in questa mattina di primavera?

Baci,
L.

Commenti

Post popolari in questo blog

Consigli di lettura: 4321 di Paul Auster (e altre considerazioni)

Consigli di lettura: IL GIORNO MANGIA LA NOTTE di Silvia Bottani

Sull'Amicizia (un altro racconto autobiografico)

Rientri, ritorni, nuovi inizi

Bisognerebbe imparare a fermarsi.

Morale della favola...

Consigli di lettura: L'ABITO DELLA FESTA di Anthony Caruana