Consigli di lettura: 4321 di Paul Auster (e altre considerazioni)

Ho già espresso le mie preoccupazioni sul Coronavirus nel mio POST precedente, e in seguito alle disposizioni governative sto seguendo le istruzioni e me ne sto buona buona a casa, lavoricchiando e facendo in linea di massima quello che preferisco: leggere. Così sono da poco riemersa da una lettura lunga e impegnativa, che avevo quasi timore di affrontare ma che invece, naturalmente, mi ha dato molti spunti di riflessione. 

Il libro in questione si intitola 4321 e l'ho acquistato qualche mese fa senza aver letto alcuna recensione, senza sbirciare nella quarta di copertina, spinta soltanto da un impulso affettivo; l'autore, Paul Auster, è stato infatti uno dei miei preferiti in giovinezza: ho adorato Trilogia di New York, in particolare Città di Vetro, ho amato La Musica del Caso e Mr Vertigo, che mi aveva appassionato e su cui a suo tempo avevo scritto una tesina brillante. Per non parlare di Smoke e Blue in the Face, da cui sono stati tratti due film icona con Harvey Keitel, co-diretti e sceneggiati proprio da Auster. Poi, non so perché, le vie tra me e il mitico Paul si sono divise, e si sono misteriosamente riagganciate dopo vent'anni quando ho visto su uno scaffale questo tomo per nulla attraente (lo ammetto!) sia per la lunghezza che per il carattere fitto fitto della stampa, di certo non avvincente per i miei occhi ormai un po' affaticati - ebbene lo ammetto, oggi preferisco leggere libri con i caratteri grandi!
Così a un certo punto ho agguantato questo benedetto libro, e dopo un lungo sospiro l'ho iniziato. 

  
Alla fine delle 951 pagine, fatte di lunghissimi capitoli e pochi paragrafi, si esce da questa lettura stremati. Stremati non perché il libro sia pesante, ma perché la capacità di Auster di acchiappare il lettore e portarlo nelle dimensioni vivide e iperdescritte dei protagonisti è figlia di esperienza e maestria. Parlo di protagonisti quando, in realtà, il protagonista è uno soltanto: Archie Ferguson, introdotto nel primo capitolo, dal quale si dipanano poi ben quattro storie; quattro possibilità, che raccontano la vita del nostro protagonista ogni volta diversa, affrontando via via l'età dell'infanzia, poi della prima adolescenza, dell'adolescenza, della giovinezza. Così ogni capitolo è diviso in quattro, e ogni volta, dopo che ci si è appassionati allo scorrere delle vicende, bisogna compiere uno sforzo notevole per ripartire dall'episodio precedente, rifare mente locale, rientrare in una storia diversa.

Auster cerca quindi di analizzare e ipotizzare una serie di sliding doors, guidandoci per tutte le vie che il nostro protagonista deve affrontare e che cambiano a seconda di una scelta alternativa, di una situazione familiare che si modifica, dell'influenza più o meno forte di un amico, di una donna, della madre... Anche gli altri personaggi, in tutte le storie, restano all'incirca gli stessi, ma sebbene ognuno abbia i suoi caratteri peculiari, le vicende differenti li rendono ogni volta diversamente sensibili agli eventi.

E' un pensiero ricorrente anche in me, ultimamente, questo delle occasioni mancate, delle scelte affrettate, della consapevolezza di quello che si è costruito e che sovente è figlio di una scelta compiuta d'impulso, presa d'istinto davanti a un bivio. Riesco a percepire che non esiste un manuale di "corretto comportamento", ma ormai mi è chiaro di quanto spesso, nella vita, non abbiamo la possibilità o la maturità o l'esperienza per valutare tutti i pro e i contro delle nostre decisioni; e, allo stesso tempo, sono consapevole che qualsiasi decisione porta con sé delle conseguenze, a volte anche pesanti. 

Il libro peraltro sembra voler affermare che, nonostante il variare degli eventi, delle occasioni fortuite, delle situazioni, le caratteristiche e le attitudini peculiari di ognuno di noi potrebbero restare invariate, così come le passioni, gli amori e le persone care. La madre del protagonista è quindi immagine forte, costante e presente in tutte e quattro le varianti, così come l'amore della sua vita. E, soprattutto, è costante l'attitudine personale, che nella fattispecie è legata alla scrittura. In tutte le vicende, infatti, la scrittura (sotto forma di giornalismo, traduzione, poesia o romanzo) riempie la vita del protagonista, diventa la strada da seguire, l'indole che si manifesta e che è superiore allo scorrere della vita. La presenza di Auster qui si fa forte, riempie il libro di citazioni, di curiosità, di perizia. Il libro diventa poi un esempio di una metaletteratura dallo spessore avvolgente, che parla di sé quasi in maniera naturale, che scende di due o più livelli per volta come se fosse un gioco di specchi. Auster crea così un'atmosfera a tratti surreale, della quale è maestro e che permea ogni suo romanzo, ma che in 4321 raggiunge, a mio parere, il suo apice. I dialoghi sono tutti integrati nel testo, senza l'uso di virgolette o trattini, rendendo così il continuum pensiero-azione efficace, mantenendo il lettore sempre sprofondato nella storia. Dialoghi che, nel perfetto stile Auster, sono efficaci, vividi, senza nulla di troppo, espliciti nella loro essenzialità.

"Poi ci sarebbe il discorso soldi.
Quali soldi?
Qui si tenta di fare gli editori veri, Archie.
Non capisco.
Contratto, anticipo, diritti d'autore. Ne avrai sentito parlare.
Vagamente. In un altro mondo dove mi capita di non vivere."

Infine, impossibile non essere avvinti dall'amore viscerale e doloroso dell'autore per la "sua" New York, che ci viene presentata sotto diverse sfumature, attraverso i quartieri più ricchi o quelli più malfamati, nei College privati di lusso e in quelli pubblici, nelle rivolte studentesche contro la guerra in Vietnam, passando per le sommosse razziali e per un'importante fetta di storia americana che viene esposta con naturalezza quanto con lucidità. New York permea ogni azione, ogni pensiero, ogni relazione, come un naturale sfondo in cui tutte le vicende si alternano, ma che acquistano forza e veridicità proprio in virtù di tale imprescindibile sfondo. E poi si vola alla Francia dei poeti amati da Auster, alla Parigi da lui altrettanto vissuta e respirata e consegnata a noi lettori.

Insomma, questo è un libro potente. Non semplice, ma ricco, ricco di elementi da cui poi è difficile sottrarsi. Non si riesce a chiuderlo e dimenticarlo, le parole entrano lentamente nella testa, nell'anima, e da lì non se ne vanno, macinano e aprono le riflessioni, le stimolano. Gli spettri di Auster ci restano addosso, come è sempre stato, ma pare che ora la maturità dello scrittore abbia raggiunto una serenità diversa, non c'è più angoscia. Semplicemente, le sue parole, i suoi personaggi e le sue descrizioni, le storie, gli avvenimenti... Rimangono vicini, come una nuova compagnia.

Vi lascio con un passaggio che (naturalmente) mi ha colpito e coinvolto, legato alla lettura/scrittura, in cui mi sono terribilmente riconosciuta (tra l'altro per lo stesso libro, da me incontrato la prima volta a quattordici anni):

"(...) la lettura di Delitto e castigo lo cambiò, Delitto e castigo fu il fulmine che si abbatté dal cielo e lo mandò in frantumi, e quando riuscì a riprendersi Ferguson non ebbe più dubbi sul futuro,se un libro poteva essere questo, se un romanzo poteva fare questo al tuo cuore, alla tua mente e ai tuoi sentimenti più profondi sul mondo, allora scrivere romanzi era senz'altro la cosa migliore che potevi fare nella vita, perché Dostoevskij gli aveva insegnato che le storie inventate potevano andare ben oltre il semplice divertimento e lo svago, potevano rivoltarti come un calzino e scoperchiarti il cervello, potevano scottarti e gelarti e metterti completamente a nudo e scaraventarti tra i venti furiosi dell'universo e da quel giorno in poi, dopo aver annaspato per tutta l'infanzia, perso nei miasmi sempre più fitti dello smarrimento, finalmente Ferguson capì dove stava andando, e negli anni successivi non tornò mai sulla sua decisione, nemmeno in quelli più duri, quando gli sembrò quasi di cadere dai confini della terra".

Baci - ma solo virtuali! - , L.



Paul Auster, 4 3 2 1, Einaudi Super ET, € 17,00.



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